Perché è importante pensare che il cliente è il prodotto?
Ci arrivo partendo da un passo indietro.
Quando non faccio contento un cliente, cosa che - lo ammetto - capita a volte, mi innervosisco, mi cruccio perché sento di venir meno a una missione.
Quale missione?
Le aziende oggi, le marche, con i loro valori, i loro princìpi e la loro cultura sopperiscono al crollo delle ideologie del secolo scorso. Non approfondirò tale concetto ora, dico però che questo comporta per le donne e gli uomini di marketing, nelle agenzie e nelle aziende, una grande responsabilità.
Quella di unire le proprie forze per migliorare le vite delle persone e cambiare la dove c’è più bisogno: l’ambiente, i diritti, l’inclusione ecc., sostenendo senso, valore, equità.
Il marketing contemporaneo è difficilmente definibile, come ogni altro processo alla mercé della tecnologia - che non semplifica affatto, anzi… - si complica più tenti di spiegarlo.
Questo effetto, detto “paradosso della conoscenza”, viene spiegato da Yuval Noah Harari nel suo libro Homo Deus e suona più o meno così:
con l’aumentare della tecnologia e delle informazioni disponibili, diminuisce la capacità di comprendere il presente (quel che andava bene l’altro ieri oggi non va più), di conseguenza decresce l’abilità di immaginare il futuro.
Motivo per cui le definizioni di ieri oggi possono vacillare sommerse da una massa infinita di dati e di nuove definizioni.
Ma, se proprio devo scegliere un concetto che mi sfida e mi affascina tra i tanti, prendo quello di B. Joseph Pine II e James H. Gilmore, espresso nel loro libro THE EXPERIENCE ECONOMY.
Gli autori esplorano il concetto dell’economia dell’esperienza. In sostanza, l’idea è che alle persone non basta comprare prodotti e servizi, vogliono vivere un’esperienza nel comprarli e/o utilizzarli.
Quindi l’attenzione nell’economia dell’esperienza non è il bene o il servizio in sé, ma il consumatore cui l’esperienza si rivolge. Il culmine di questa idea è che il cliente è il prodotto.
“L’economia del futuro sarà una economia di trasformazione. I beni e servizi non sono più sufficienti a soddisfare i bisogni delle persone che sempre di più chiedono esperienze.“
La trasformazione è misurabile, effettiva e avviene dentro le persone. Il risultato si manifesta attraverso il cambiamento delle persone.
A differenza dei beni durevoli che sono fungibili, le merci tangibili, i servizi intangibili, le esperienze sono memorabili.
Nel futuro la sfida dell’economia della trasformazione sarà individuare le aspirazioni dei consumatori per guidarli verso la realizzazione di un desiderio”.
(cit.)
Riepilogando, se non aiuto un cliente nel trasformare una sua aspirazione in qualcosa di reale (es. voglio che le mie “molle” siano le più desiderate, voglio diventare un dentista apprezzato, desidero sentirmi parte di una community comprando questo prodotto), rendendo memorabile la sua esperienza - ovvero costruendo strutture di memoria con la mia brand - allora NON soddisfo il cliente (da cui il senso di frustrazione descritto poc’anzi).
Da questa affermazione discende un semplice principio, antico questa volta, una brand per aver successo e impatto sul mercato è obbligata a costruire strutture di memoria nella mente del pubblico attraverso un mix equilibrato di azioni dedicate alla performance e azioni dedicate alla brand building (B2B Institute).
Per essere memorizzati e poi scelti, occorre esserci, rendersi visibili: il più spesso possibile in più luoghi possibili. Utilizzando le emozioni, non l’aziendalese, come linguaggio.
“Ecco, questo è il marketing contemporaneo a cui riferirsi”, penso io beatamente. Se non che - sono curioso - sbircio la data di pubblicazione; il libro è del 2019, ma i concetti vanno indietro di oltre un decennio.
Sono passati 4 anni: un'era! Ho qualche dubbio che questo bel concetto sia ancora “contemporaneo”. Oggi funziona così. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, domani, sarà anche peggio.
Quindi credo che le definizioni siano relativamente importanti, ciò che conta in ultima analisi è riferirsi al contesto. Soddisfare, migliorare, si va bene; così come mettere al centro il cliente, ma sempre individuando il contesto nel quale la persona cerca la sua trasformazione.